08 Dec
08Dec

Un’eredità ingombrante quella che gravò sul capo di Caio Giulio Cesare Germanico, detto Caligola. Il governo perfetto e moderato di Augusto che vacillava già nelle mani di Tiberio, despota sanguinario, proseguì in apparente equilibrio fino a crollare miseramente a causa delle volubili decisioni di questo principe figlio del valoroso Germanico, governatore della provincia romana a est del Reno. Caligola, pronipote di Augusto, appartenente alla dinastia Giulio-Claudia che in principio incarnava i valori della famiglia paterna, godendo di una notorietà speciale tra le classi più popolari, in seguito divenne l’imperatore più disprezzato, il mostro visionario, un giovane squilibrato che infranse ogni velleità repubblicana assumendo addirittura tutti gli onori e le cariche in un unico giorno. Descritto dai biografi, cruento assassino, despota perfido e scandaloso, megalomane dello sfarzo che dedito al culto orientale di Iside, fece costruire come tramandato dalle fonti, imponenti navi-tempio, veri palazzi galleggianti sul lago di Nemi, lo specchio d’acqua bacino naturale nel cratere vulcanico circondato dal bosco sacro di Diana.

La zona collinosa dei castelli romani, compresa la zona del lago di Nemi Speculum Dianae, era la sede dei più antichi culti italo-pelasgi. I colli albani derivati da un antico vulcano, hanno una forma semplice sottolineata dalla presenza di due laghi circolari nei crateri profondi e il lago di Nemi fu sacro all’antichissima religione dei Paleolatini, infatti questa località venne prescelta per i maggiori santuari del Lazio. Era lì che risiedevano gli Dei. Dalla vetta di Monte Cavo, Jupiter Latiaris, presiedeva su tutta la regione, Diana regina dei boschi, si rispecchiava nel lago di Nemi, mentre Giunone era sulla riva opposta nel tempio di Languivo. Questi santuari antichi erano posizionati secondo un allineamento sull’asse nord-sud e formavano un cardo naturale con il santuario di Giove in posizione centrale. La Juno Caprotina o Giunone Infera, veniva rappresentata con gli attributi della Capra, serpente, scudo egidato o lancia. Appare come la più antica divinità latina e italica. Sarà antropomorfizzata nella Giunone Regina Salvatrice nella IV ecloga di Virgilio cioè la Juno Sopitae Mater Regina, protettrice dell’Impero Romano il cui culto era appunto presso Lanuvio. La Dea Diana, in parte assimilabile alla greca Artemide, vergine madre della natura, aveva un bosco a lei consacrato, proprio ai piedi del monte. Qui avveniva un antichissimo culto sorvegliato dal Rex Nemorensis.

Si trattava di un sacerdote, ex schiavo fuggitivo che aveva la facoltà di recidere le fronde di un albero dorato ritenuto sacro nel bosco di Diana. Questo guardiano, entrava in carica dopo aver brutalmente assassinato il suo predecessore. Il monte Cavo, su cui si festeggiavano ogni anno in primavera le Feriae Latinae, confermava la posizione di rilievo dei colli Albani, centro naturale del Lazio. Il monte Albano, era sacro, l’omphalos del mondo come si afferma nel libro di Giobbe o nei salmi di David. Il termine latino Albus-bianco, montagna dalla cima di porpora abbagliante, riferita al vulcano in piena attività, spiega come nelle epoche preistoriche la Saturnia Tellus era sommersa (agro romano e pontino), e al suo posto si apriva il grande vaso laziale circoscritto dai monti Ausoni, Lepini, Ernici, Volsci e Sabazi e dominato dal vulcano Albano con i suoi tre crateri attivi: Albano-Nemi- Ariccia che poi si trasformarono in laghi sedi di culto Saturnii. La topografia del cratere spento con i due laghi implicitamente lascia sottintendere al teschio petrificato del Gorgone (Medusa), una rielaborazione del vulcano inaridito.

La leggenda delle navi di Caligola sommerse nel fondo del lago si tramandava dagli abitanti del luogo che vedevano emergere di tanto in tanto antichi reperti dalle profondità delle acque e fu a lungo alimentata dal ritrovamento casuale dei pescatori. L’ideazione di navi colossali suscita sempre un certo fascino e meraviglia. A Siracusa, il tiranno Ierone II commissionò la celebre Syrakosia, inviata come dono al faraone Tolomeo III. A differenza delle navi Siracusane però si riteneva che le navi di Nemi conservassero ingenti tesori che dovevano essere recuperati. Il ricordo delle navi di Caligola si tramandò di anno in anno, tanto che dal Rinascimento si approcciarono i primi tentativi di recupero delle imbarcazioni.In molti si cimentarono nella difficile impresa, da Leon battista Alberti, a Leonardo da Vinci, Francesco De Marchi, Edmund Halley, e Annesio Fusconi, tutti tentarono di riportare alla luce quel tesoro dimenticato. Si recuperarono così oggetti d’arte ma i continui tentativi danneggiarono seriamente la struttura delle navi, e iniziarono i primi saccheggi. Nel 1920, un gruppo di archeologi italiani per volontà di Benito Mussolini, recuperarono le navi a venti metri di profondità. La magnificenza degli arredi e degli elementi decorativi avrebbero finalmente dimostrato l’opulenza e la maestosità di quei palazzi galleggianti. Finalmente il 20 ottobre 1928, Mussolini avviò lo svuotamento del lago e il 28 marzo 1929 affiorarono le strutture più alte della prima nave. Si scoprì dunque che le due navi erano appartenute realmente a Caligola, e si appurò la commissione grazie al riconoscimento di due fistole plumbee con inciso il suo nome. Erano ancora intatte e preservate da uno spesso strato di fango. Due scafi a remi enormi, che misuravano, 71 per 20 metri, e la seconda 75 per 29 metri dotati di ogni sfarzo che vennero colate a picco intenzionalmente a seguito della Damnatio memoriae di cui Caligola fu oggetto ricadendo inesorabilmente anche sulle sue opere inabissate con lui. L’entità della scoperta e l’opulenza degli oggetti rinvenuti a bordo rilevò la veridicità della leggenda. Le navi presentavano innovazioni tecnologiche, un progresso che lascia sgomenti. Questo ritrovamento andava infatti a rivoluzionare le conoscenze di tecnica navale romana. Le ancore ritrovate costituiscono la testimonianza dell’utilizzo del ceppo mobile di tipo ammiragliato, tecnica che si riteneva più tarda. Sul ceppo di quella in piombo, era annotato persino il peso in libbre. Le navi erano costruite con legno di pino, abete e quercia, e la parte esterna della carena era rivestita da uno strato di lana imbevuto di sostanze impermeabili e ricoperta da fogli in piombo tenuti da chiodi. (Possibile che le acque del lago fossero calde, quindi lo strato garantiva ad isolarle termicamente.). Sul finire del 1932 si recuperò anche una seconda nave. Gli studi successivi avanzarono ipotesi circa la loro funzione, si individuarono pertanto, un battello-tempio dotato di un piazzale e di colonne corinzie alte 4 metri, e un battello palazzo. I due relitti vennero posizionati all’interno di un museo progettato dall’architetto Vittorio Ballio Morpurgo e inaugurato il 21 aprile 1939. Entrambe le navi per un infausto destino, nel 1944, bruciarono in un incendio che oggi suscita non pochi interrogativi, e che le distrusse completamente. Una perdita inestimabile. A risvegliare la speranza tuttavia, vi è la leggenda che il lago possa nascondere una terza nave, ancora più grande e maestosa delle altre, coperta fino ad ora da una frana e di cui si occupa un architetto di Genzano, Giuliano Di Benedetti, impegnato da anni nella ricerca.


A cosa servivano le navi?

Caligola, era devoto alle divinità Egizie, e Nemi, città sacra alla Dea Diana, potrebbe essere stata lo sfondo dei famosi riti isiaci. Le fonti riportano che egli fece uccidere il Rex Nemorensis forse per poter istituire un antico culto a Roma, quello del Vulcano, proprio attraverso i riti egizi. L’Imperatore aveva concepito le sue navi, per celebrare gli antichi culti del luogo che vedevano nella grande madre, l’incarnazione di Iside-Diana. Nelle “metamorfosi” di Apuleio, appare chiara la funzione della nave di Caligola. Vi era un giorno consacrato a Iside da secoli, (navigium Isidis, festa che ricorreva il 5 marzo e che segnava la ripresa della navigazione dopo il periodo invernale), in cui i sacerdoti le avrebbero offerto le primizie consacrando una nave che ancora non aveva mai sfidato le onde del mare. Le navi emerse dall’ acqua, potrebbero rispecchiare quella funzione, o forse era lì che avvenivano i “notturni abbracciamenti con la Luna”, come afferma Svetonio, alludendo all’accoppiamento del Faraone con sua sorella- consorte! Diana potrebbe essere stata identificata in Drusilla, sposa e sorella di Caligola, la cui statua venne ritrovata a Nemi nelle sembianze della divinità. Il culto di Iside, legato al ciclo della morte e della rinascita, dilagò in tutto l’impero romano, dimostrando di subirne il fascino. Di contro, la parte romana più conservatrice lo vide come culto profanatore, un oltraggio alla Divinità nemorense Diana. Si tentò quindi di cancellarne ogni traccia tacciando Caligola come un mostro visionario, ed un folle megalomane, anziché uno stratega politico che operò seguendo un disegno dettato da un preciso piano politico-religioso. Caligola venne condannato alla perdizione eterna.


Che rapporto c’è realmente con l’Egitto?

L’oblio cadde su questa parte di storia. Cosa rappresentavano le navi di Nemi? Sono solo il frutto di una mente distorta accecata dal fanatismo imperiale o nascondono sapientemente un significato inconfessabile? Cosa avveniva durante le cerimonie dedicate alla Dea Iside a cui le navi erano votate? Cosa univa realmente il mondo romano e Caligola a quello Egizio?

Gli Egizi erano soliti rappresentare simbolicamente i loro concetti, e per farlo utilizzavano le divinità zoomorfe inserendole nelle iscrizioni geroglifiche come fossero delle parole chiavi. Dovevano aver rappresentato graficamente quei luoghi sotto le sembianze delle divinità stesse.

Se le navi ricalcassero simbolicamente un cammino iniziatico e gli Egizi ne serbassero il ricordo come si evince dalle loro pitture? Alcune fonti parlano di un viaggio purificatorio compiuto dai faraoni in Occidente che poteva essere percorso naturalmente dopo la morte oppure in via eccezionale durante la vita. La catarsi, presupponeva un viaggio a settentrione, seguendo cioè il corso del Sole, che nasce ad est, ma tramonta ad Ovest verso il covo del grande serpente.

Il viaggio del Dio sole nell’Ade e del Faraone si compie in una terra occulta che deve essere conosciuta.

Qui si trova l’AMENTIT, o DUAT. Imn= occultare, nascondere, designa “il luogo nascosto”, l’occulta dimora del Regno dei morti, la necropoli.

Il Libro degli Inferi letteralmente Di ciò che è nella Duat, è la guida di un viaggio che il Sole compie sulla sua barca nelle regioni infere navigando per dodici ore in una terra popolata da esseri mostruosi. In esso si descrivono le coordinate topografiche di questo viaggio, una sorta di guida affinché possa essere compiuto e affrontato sia da vivi e soprattutto da morti. I faraoni probabilmente solevano attraversare questo percorso per “Conoscere” ed ottenere beneficio sulla terra. La conoscenza è la chiave del risveglio che avrebbe permesso al Dio-uomo di governare in maniera agiata. Il libro di ciò che è nella Duat, permette al faraone di navigare, percorrere il tragitto che il Dio sole attuò nelle regioni infere, una landa terrificante, popolata da mostruose entità, ma da cui riuscirà indenne al mattino nell’aspetto di Khepri scarabeo divino. Questo libro, come fosse un amuleto veniva portato nella tomba affinché aiutasse l’anima verso le incarnazioni concesse ai purificati.

Nei testi egizi del libro dei morti che ritroviamo affrescati nelle tombe reali ipogee, si menzionano laghi infernali che si trovavano nell’estremo occidente, ai piedi della sacra montagna circondata dalle stigee paludi; qui vi era la dimora del Gran Serpente e di Osiride infero. Paludi, laghi e una montagna sacra…Se le terre descritte nel Libro degli Inferi esistessero realmente? Se il viaggio non fosse così lontano e irreale come si è creduto ma rintracciabile e visibile ai nostri occhi?

La città di Abydos veniva indicata come la necropoli dell’antico Egitto, vi si trova l’Osireion, una struttura religiosa centro importantissimo per la celebrazione dei misteri Osiriaci, la decorazione delle tombe in tutto il territorio infatti mostra i viaggi da e verso questa città con la barca solare. Gli studiosi affermano che la città possa coincidere con il regno dei morti, destinazione finale del lungo viaggio. Ma se non fosse così?

Se la palude d’Occidente che viene menzionata da Leon Battista Alberti nella “descrizione di tutta l’Italia”, coincidesse con la “Satura palus” di Silio, situata nei pressi del castello di Satura, se si trattasse di quella pontina, se la sacra montagna corrispondesse a Monte Albano, e i laghi a quelli di Albano e Nemi? L’ingresso all’Amentid, sarebbe così contrassegnato dal Pisco-porta di Terracina e dall’omphalos alle falde della montagna sacra presso la cui palude approda la barca. L’omphalos, era una pietra dal valore religioso, che in genere si trovava al centro di una regione (ombelico appunto), la cui rappresentazione materiale del luogo, era data da una pietra sacra Bethilo Beth-el “casa di Dio” in quanto era lì che risiedeva la divinità. I latini la chiamavano Abadir, e fu la stessa pietra che Saturno, divinità paleolatina, divorò. Era nera perché Saturno rappresenta il piombo. Non a caso a Roma vi era sul Campidoglio il culto della pietra o Lapis manalis. Questa pietra avrebbe delimitato una zona definendo due realtà, da qui terminava la montagna e si poteva percorrere la via Appia costeggiando il mare. Che valore dunque assumerebbe la Diana Infera, regina del bosco sacro? L’accostamento con Virgilio appare immediato. Nel bosco sacro nel quale vive nascosto in un albero, il ramo dalle foglie d’oro farà scendere Enea e lo strapperà per varcare la soglia del regno di Dite: Il regno dei morti. Sul lago di Nemi, Enea per bocca dell’indovino Fieno apprenderà che dovrà scendere a visitare nel mare ausonio i laghi infernali e potrà vedere l’isola di Circe. Enea passerà da Cuma, sua prima tappa, al Circèo per raggiungere il regno di Dite. Nell’antro dalle cento porte Enea chiederà a Febo attraverso le parole della sibilla Cumana il responso sull’esito finale della sua impresa, promettendo di elevare un grande tempio nella nuova sede latina consacrandolo anche alla sorella Diana (Tempio massimo in Aricia), ed un altro tempio alla Sibilla dove saranno deposti i suoi oracoli ed i fati arcani (Pisco di Terracina). Egli si ritroverà in un luogo circondato da immense foreste e paludi, ben diverso dal panorama Cumano, lì nascosto in un albero troverà un ramo dalle foglie d’oro, sacro alla divinità.

Se questo arcano sapere costituisse il segreto di cui Caligola era in possesso? Era dunque questo l’ingresso all’Amentid, il luogo nascosto? Che valore assumono ora le navi dell’Imperatore? Tra l’audacia di ipotesi ardite e la perseveranza allo studio degli antichi, prosegue il cammino consapevole verso la conoscenza.

Immagini:

La camera mortuaria di Ramses VI , 1157-1142, la 5°stanza, è occupata da geroglifici con il “Libro di ciò che è nel Duat”, ossia nell’aldilà.

In una prima pittura, riferibile ad una tomba di nobile a Tebe, l’ingresso dell’Amentid è addirittura contrassegnato dal Pisco porta di Terracina e a mezza costa della montagna coltivata a filari di viti, vengono incontro Iside e Osiride che indica a terra un cratere ricolmo di frutta (il cratere nemorense placato), e protesa dalla cima del monte la protome della sacra vacca, cioè la dea Ator-Iside che si svela nella sua vera essenza cioè Juno Sospitae dea di Lanuvio alla quale fu sacro il monte Albano.

Nella seconda immagine appare il faraone menzionato nel geroglifico al lato, dinanzi ai due laghi sacri resi dal colore rosso, ciascuno contrassegnato da quattro geroglifici che rappresentano il fuoco, forse vulcanico-tellurico. Quattro deificazioni dei babbuini, Papio hamadryas corrispondenti alla divinità egizia Babi, venerati come divinità dell’oltretomba che risiedevano nei pressi di laghi infuocati, e seduti vigilano attendendo l’anima del defunto. Dopo la pesatura, i babbuini si sarebbero cibati delle loro viscere se ritenuti colpevoli. Babi era ritenuto il primogenito di Osiride.

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