05 Jan
05Jan

Analisi del legame fittizio tra scritture ebraiche e cristiane

Il Dio padre sanguinario e quello amorevole

Quantunque non ci presenti affatto un dio perfetto e trabocchi di storie di inaudita crudeltà e prive di ogni etica, l’Antico Testamento viene considerato dai cristiani come parte integrante delle proprie sacre scritture, in quanto preannuncerebbe l’avvento di Gesù.

Quei libri violenti e intolleranti, sfortunatamente, costituiscono un’eredità molto scomoda, della quale la chiesa ha sempre cercato di liberarsi affermando che l’Antico Testamento ha valore provvisorio, poiché l’antica alleanza tra Yahweh e gli Israeliti è stata soppiantata da quella eterna sancita con l’intera umanità per mezzo del sacrificio di Gesù. Peccato che svariati pronunciamenti papali e conciliari attribuiscano pari dignità ai due Testamenti, a cominciare dalla costituzione dogmatica Dei Verbum, con la quale si ribadisce il concetto fondamentale secondo cui

La santa madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia del Vecchio che del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché scritti per ispirazione dello Spirito Santo (…); hanno Dio per autore (…) bisogna ritenere, per conseguenza, che i libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio, per la nostra salvezza, volle fosse consegnata nelle sacre Scritture”.

Questa posizione, tuttavia, pone un problema: come conciliare un Antico Testamento intriso di violenza e un Nuovo Testamento che parla per lo più di amore e fratellanza? Come fare coesistere un Yahweh che istiga alla carneficina dei nemici e un Gesù che invita ad amarli?

I cristiani spiegano che l’Antico Testamento è stato sostituito dal Nuovo, nel senso che il sacrificio di Gesù ha consentito di superare l’antica alleanza, fondata sul rispetto della legge mosaica, determinando in tal modo una nuova via verso la salvezza, fondata sulla fede in Gesù. Altri, invece, sostengono che quelle dell’Antico Testamento siano storie da prendere in senso metaforico; punto di vista che, però, viene smentito proprio dal documento sopra citato, nel quale si afferma che “i libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio…volle fosse consegnata nelle sacre Scritture”.[1]

In sostanza, quindi, nell’Antico Testamento Dio stipula con gli Israeliti un’alleanza in base a cui promette al popolo eletto la terra di Canaan e la propria protezione, chiedendo in cambio di essere venerato come unico dio e che sia osservata la Legge consegnata a Mosè.[2]

Sembra dunque piuttosto evidente che Yahweh abbia manifestato la volontà di intrattenere una relazione esclusiva con il popolo israelita, come dimostrano oltretutto le atroci carneficine per mezzo delle quali egli conduce gli eletti alla conquista della terra promessa e spazza via interi popoli.

Ecco, però, la sorpresa, perché nel momento in cui l’ispirazione divina fu rivendicata anche dai cristiani, di colpo l’immutabile quanto imprevedibile Dio dei padri rimescolò le carte, smentendo sé stesso e tradendo il popolo eletto con una radicale revisione del suo testamento: la Legge fu soppiantata da un certo Paolo e l’alleanza esclusiva con gli Israeliti divenne improvvisamente un patto universale che coinvolgeva tutte le nazioni! Come mai un simile ripensamento, poco adatto a un dio onnisciente?

Credo che questa premessa consenta di cogliere perfettamente quanto artificiale sia il preteso nesso di continuità tra l’Antico e il Nuovo Testamento, concepito dalla nascente chiesa cristiana per giustificare la trasformazione dell’ebreo Gesù in salvatore spirituale di stampo universale. Ecco perché i primi cristiani dovettero arrovellarsi per trovare nell’Antico Testamento gli annunci profetici della venuta di Gesù e per infarcire il Nuovo Testamento di riferimenti all’Antico nel tentativo di far passare il loro messia come colui nel quale si realizzava tra Yahweh e l’umanità quella nuova alleanza che con un colpo di spugna mandava in pensione la vecchia, stipulata tra lo stesso volubile Onnipotente e il suo (ex) popolo eletto.

Con un triplo salto mortale, la dottrina cristiana spiega l’improvviso dietro-front divino affermando che, in realtà, i profeti di cui egli si era servito nell’Antico Testamento per istruire il suo popolo erano una sorta di pedagoghi [3] il cui compito consisteva solamente nel preparare gli Israeliti all’arrivo di Gesù, dal quale essi avrebbero ricevuto la pienezza della rivelazione; pienezza che risiederebbe proprio nel Nuovo Testamento, in quanto realizzazione dell’Antico, che va quindi visto come la preparazione del primo.

Evidentemente, il compimento di questo imperscrutabile disegno divino non poteva rimanere limitato a un unico popolo, visto che l’avvento di Gesù avrebbe comportato la salvezza dell’intero genere umano e non solo di Israele. Inutile dire che i cristiani non spiegano come mai Dio avrebbe deciso da un giorno all’altro di abrogare quell’antica alleanza che egli stesso definisce a più riprese “eterna” e “perenne”, dunque destinata a non decadere mai.[4]

Giochi di prestigio cristiani

Tutto questo trova conferma nell’introduzione all’Antico Testamento della Bibbia CEI, secondo cui, con Israele, Dio avrebbe compiuto una sorta di “prova generale” del proprio piano riguardante gli uomini, “disponendo sapientemente che il Nuovo Testamento fosse nascosto nell’Antico e l’Antico diventasse chiaro nel Nuovo”. Vale la pena riprendere per intero questo passo, che, detto per inciso, altro non è un copia-incolla dalla costituzione dogmatica Dei Verbum:

14. Iddio, progettando e preparando nella sollecitudine del suo grande amore la salvezza del genere umano, si scelse con singolare disegno un popolo al quale affidare le promesse. Infatti, mediante l’alleanza stretta con Abramo e per mezzo di Mosè col popolo d’Israele, egli si rivelò, in parole e in atti, al popolo che così s’era acquistato come l’unico Dio vivo e vero, in modo tale che Israele sperimentasse quale fosse il piano di Dio con gli uomini e, parlando Dio stesso per bocca dei profeti, lo comprendesse con sempre maggiore profondità e chiarezza e lo facesse conoscere con maggiore ampiezza alle genti. L’economia della salvezza preannunziata, narrata e spiegata dai sacri autori, si trova in qualità di vera parola di Dio nei libri del Vecchio Testamento; perciò questi libri divinamente ispirati conservano valore perenne (…)

Importanza del Vecchio Testamento per i cristiani

15. L’economia del Vecchio Testamento era soprattutto ordinata a preparare, ad annunziare profeticamente e a significare con diverse figure l’avvento di Cristo redentore dell’universo e del regno messianico. I libri poi del Vecchio Testamento, tenuto conto della condizione del genere umano prima dei tempi della salvezza instaurata da Cristo, manifestano a tutti chi è Dio e chi è l’uomo e il modo con cui Dio giusto e misericordioso agisce con gli uomini. Questi libri, sebbene contengano cose imperfette e caduche, dimostrano tuttavia una vera pedagogia divina. Quindi i cristiani devono ricevere con devozione questi libri: in essi si esprime un vivo senso di Dio; in essi sono racchiusi sublimi insegnamenti su Dio, una sapienza salutare per la vita dell’uomo e mirabili tesori di preghiere; in essi infine è nascosto il mistero della nostra salvezza.

Unità dei due Testamenti

16. Dio dunque, il quale ha ispirato i libri dell’uno e dell’altro Testamento e ne è l’autore, ha sapientemente disposto che il Nuovo fosse nascosto nel Vecchio e il Vecchio fosse svelato nel Nuovo. Poiché, anche se Cristo ha fondato la Nuova Alleanza nel sangue suo, tuttavia i libri del Vecchio Testamento, integralmente assunti nella predicazione evangelica, acquistano e manifestano il loro pieno significato nel Nuovo Testamento, che essi a loro volta illuminano e spiegano” (i sottolineati sono miei)


Nient’altro che giochi di parole, acrobazie dialettiche senza dubbio in grado di incantare solo chi è predisposto a crederci!

Leggendo tra le righe, appare evidente che nel passo sopra riportato si afferma che i profeti, un tempo considerati intermediari tra Dio e gli uomini, ora, per volere di un fanatico, visionario e opportunista di nome Paolo, diventano semplici pedagoghi, educatori. Ne dobbiamo dedurre che Dio ha deliberatamente tenuto nascosto al suo popolo l’arrivo del salvatore e l’ha costretto a odiare gli altri popoli pur sapendo che suo figlio avrebbe raccomandato l’esatto contrario. Dulcis in fundo, tramite Gesù, Dio ha dichiarato di voler estendere il suo amore all’intero genere umano; perché, allora, non l’ha fatto fin da principio, escludendo dalla sua alleanza eterna altri popoli che, in fin dei conti, erano parimenti sue creature?

Con tutta la buona volontà, sembra impossibile che il Dio dell’Antico Testamento sia lo stesso che ha ispirato il Nuovo e sembra quasi che i cristiani abbiano due divinità diverse ma non vogliano rendersene conto: da una parte, il Yahweh dell’Antico Testamento, sanguinario e vendicativo, dall’altra il Padre del Nuovo Testamento, misericordioso e amorevole.

Quali profezie?

Da parte cristiana, il vezzo di creare nessi del tutto artificiali tra Nuovo e Antico Testamento si è concretizzato soprattutto nell’individuazione di passi del secondo che si prestassero a essere riletti come profezie, vale a dire come annunci della futura venuta di Gesù. Questi oracoli, denominati “messianici”, sono in realtà interpretazioni forzate di circostanze e personaggi dell’antica storia d’Israele, che nulla hanno a che fare con Gesù, tant’è vero che nemmeno una volta ne fanno espressamente il nome. Dell’argomento mi occupo nel mio volume La truffa del popolo eletto e conto di dedicarvi in futuro un nuovo articolo su questa rivista. In questa sede desidero tuttavia presentare al riguardo un esempio particolarmente significativo: quello della famosa “profezia dell’Emmanuele”.

Si tratta della profezia messianica ritenuta di maggiore importanza da parte cristiana, ma, sfortunatamente, anche di un valido esempio di quanto gli evangelisti abbiano maltrattato la verità.

Il passo in questione si trova nel vangelo di Matteo e, per “dimostrare” che Gesù fosse nato da una vergine, riprende il seguente testo “profetico” di Isaia:

Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele. Egli mangerà panna e miele finché non imparerà a rigettare il male e a scegliere il bene. Poiché prima ancora che il bimbo impari a rigettare il male e a scegliere il bene, sarà abbandonato il paese di cui temi i due re. Il Signore manderà su di te, sul tuo popolo e sulla casa di tuo padre giorni quali non vennero da quando Efraim si staccò da Giuda[5]

Furbamente, però, da Isaia, Matteo (o chi per lui) riprende soltanto le prime parole:

Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi[6]

Sfortunatamente per Matteo, tuttavia, leggendo nel testo di Isaia qualche versetto prima, emerge un contesto storico ben diverso:

Nei giorni di Acaz figlio di Iotam, figlio di Ozia, re di Giuda, Rezìn re di Aram e Pekach figlio di Romelia, re di Israele, marciarono contro Gerusalemme per muoverle guerra, ma non riuscirono a espugnarla[7]

È palese che non siamo ai tempi di Gesù, ma all’epoca di Acaz, re di Giuda, cioè nell’VIII secolo a.C. e precisamente nel periodo in cui Israeliti e Aramei (vale a dire il regno di Damasco) mossero guerra a Gerusalemme. Premesso questo, Isaia prosegue e racconta che Dio gli ordinò di esortare il re ad affrontare gli avversari, assicurandogli che sarebbero stati sconfitti e promettendo un segno che suggellasse la sua promessa: la nascita di un bambino di nome Emmanuele, che, secondo l’interpretazione ebraica, era discendente del re o dello stesso Isaia.

I versetti immediatamente successivi (furbamente ignorati da Matteo) forniscono la conferma che la profezia non era affatto riferita a Gesù: “Egli mangerà panna e miele finché non imparerà a rigettare il male e a scegliere il bene. Poiché prima ancora che il bimbo impari a rigettare il male e a scegliere il bene, sarà abbandonato il paese di cui temi i due re”. È palese, dunque, che il testo indica nella nascita di quel bambino il segno della promessa divina secondo la quale i Giudei avrebbero avuto la meglio nello scontro con Israele e Damasco, cosa che avvenne intorno al 730 a.C., anche se non per merito di Giuda ma degli alleati Assiri.[8]

Arriviamo così alla parte cruciale della della “profezia”, vale a dire il parto prodigioso della vergine. Nella Bibbia dei Settanta [9], il termine ebraico almah, cioè “ragazza”, è stato tradotto in greco come “vergine” [10] e, a partire da quell’errore, Matteo inventò la profezia della miracolosa nascita di Gesù.

In realtà, se Isaia avesse davvero voluto riferirsi a una vergine, avrebbe usato il termine ebraico bethulah. Inoltre, secondo alcuni studiosi, “concepirà” sarebbe la traduzione di harah, che significa “ha concepito”, essendo una forma verbale ebraica al tempo passato.

Al di là di tali considerazioni, comunque, è lo stesso Isaia che alla fine fornisce la spiegazione più ovvia, vale a dire che il bambino di cui si annuncia la nascita era il segno con il quale Yahweh prometteva ad Acaz la vittoria militare; nel seguito del passo, infatti, la fanciulla viene identificata come una contemporanea dell’autore, il quale scrive:

Poi mi unii alla profetessa, la quale concepì e partorì un figlio. Il Signore mi disse: “Chiamalo Mahèr-salàl-cash-baz, poiché, prima che il bambino sappia dire babbo e mamma, le ricchezze di Damasco e le spoglie di Samaria saranno portate davanti al re di Assiria[11]

Con ogni probabilità, si tratta dello stesso bambino della prima parte della profezia, visto che alla sua nascita viene nuovamente collegato l’annuncio di sventura per Israele e Damasco.

Il passo di Isaia, dunque, non profetizza alcun parto verginale, ma parla di una normalissima almah rimasta incinta ben sette secoli prima di Gesù e che ha già partorito; la conclusione è che nessuna interpretazione, se non una forzatura, può consentire di vedere, in un evento risalente all’VIII secolo a.C., la profezia di qualcosa che sarebbe accaduto nel I secolo d.C. Non a caso, quantunque nessuno sembri notarlo, il Nuovo Testamento non fa mai riferimento a Gesù come “Emmanuele”.

E oggi? In totale malafede, i cattolici hanno continuato imperterriti a tradurre almah con “vergine”, ignorando il fatto che, in tutte le altre occasioni in cui esso ricorre nella Bibbia, viene tradotto correttamente come “fanciulla” o “giovane donna”. Alla fine del 2016, tuttavia, si è verificato un evento epocale: la Conferenza Episcopale Tedesca ha presentato la nuova traduzione biblica unificata che, dal 2017, è divenuto il testo di riferimento per tutta l’area germanofona. Ebbene, nel testo il passo in questione viene reso con “la vergine ha concepito e partorisce un figlio”, dunque al presente, a escludere ogni significato profetico. Inoltre, pur lasciando “vergine”, in una nota si specifica che la parola ebraica “halmah” significa giovane donna, più che vergine. Quando si dice la scoperta dell’acqua calda…

Peccato che nelle omelie domenicali i fedeli continueranno a sentirsi dire che la profezia dell’Emmanuele annuncia la nascita di Gesù e, soprattutto, che il Nuovo Testamento ha soppiantato l’Antico. Amen.


Giuseppe Verdi


[1] La posizione della Dei Verbum, promulgata dal Concilio Vaticano II nel 1965, riprende oltretutto concetti già espressi da Leone XIII e da Pio XII nelle loro encicliche Providentissimus Deus (1893) e Divino Afflante Spiritu (1943).

[2] Il vocabolo latino testamentum significa per l’appunto “alleanza”. Se, infatti, la Bibbia si compone di un Antico e di un Nuovo Testamento, è proprio perché essi rappresentano (ovviamente per i cristiani, non per gli ebrei) due distinte alleanze stipulate tra Dio e gli uomini.

[3] Espressione coniata da Paolo nella Lettera ai Galati (3:24).

[4] Si veda ad esempio 2 Samuele 23:5, Genesi 17:7 e 17:19.

[5] Isaia 7, 14-17.

[6] Matteo 1, 23.

[7] Isaia 7, 1.

[8] È appena il caso di sottolineare che Isaia non azzeccò alcuna profezia, in quanto i suoi pretesi oracoli sono in realtà vaticinia ex eventu, vale a dire predizioni messe per iscritto dopo che i fatti annunciati si erano verificati, come ritiene la maggior parte degli studiosi.

[9] La Bibbia dei Settanta è stata la prima traduzione delle scritture ebraiche in greco e viene fatta risalire al II-III secolo a.C.

[10] Peraltro, il termine parthénos, usato dalla Settanta, non è univoco, in quanto può significare sia “vergine” che “fanciulla”.

[11] Isaia 8:3-4. L’espressione Maher-salal-cash-baz significa “veloce alla preda, svelto al bottino” e dovrebbe evocare la distruzione dei nemici di Giuda.

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